
Armi per il clima
Nel lessico strategico della difesa, parole come “deterrenza”, “resilienza” e “sovranità” hanno avuto storicamente un significato militare. Ora, però, un gruppo di alti ufficiali in pensione ha invitato a riconsiderarne l’accezione in una luce nuova: la crisi climatica. “Gli investimenti nelle energie rinnovabili dovrebbero essere conteggiati tra le spese per la difesa”. Inizia così, infatti, una lettera inviata da questi ufficiali ai capi di governo europei – che propone un cambiamento culturale e di bilancio per includere gli investimenti in energie rinnovabili tra le spese riconosciute dalla NATO per la “resilienza delle infrastrutture critiche”. Non si tratta di una forzatura, ma di un allineamento con la realtà geopolitica di oggi. L’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, infatti, ha reso evidente quanto la dipendenza dai combustibili fossili, e il modello di generazione centralizzata, possano diventare armi nelle mani degli aggressori, moltiplicando i costi economici e umani dei conflitti.
Che cosa è l’energia rinnovabile
oggi
Gianni SilvestriniIl contesto è quello di un’Europa che punta a destinare, viste le pressioni del conflitto ucraino e quelle statunitensi, il 5% del Pil alla sicurezza nazionale, di cui il 3,5% per la spesa militare e l’1,5% per rafforzare la resilienza interna. Ed è esattamente su quest’ultima voce che s’innesta la proposta degli ex militari: considerare l’energia rinnovabile non un “lusso” da tempi di pace, come sostengono molte forze politiche di centrodestra, ma una condizione essenziale e necessaria per affrontare i conflitti, sia quelli convenzionali, sia quelli legati ai cambiamenti climatici. L’appello dei militari, che è stato ripreso da pochi media, rappresenta un cambio di paradigma inedito, ma decisamente attuale e concreto. Non si tratta, infatti, solo di fonti rinnovabili come pannelli solari e turbine eoliche, ma di un intero paradigma che lega sicurezza energetica, autonomia strategica e stabilità climatica. Le infrastrutture energetiche decentralizzate sono, per loro natura, meno esposte ad attacchi e interruzioni. E una rete fondata su fonti rinnovabili rende più difficile l’utilizzo dell’energia come leva politica o ricatto economico.
Del resto, non bisogna dimenticarsi che Internet per come lo conosciamo oggi deve la sua nascita alla creazione di Arpanet da parte del Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti (ARPA/DARPA) durante la Guerra Fredda, con l’obiettivo di realizzare una rete decentralizzata di comunicazione sicura, affidabile e capace di resistere a eventuali attacchi. Tra i firmatari della lettera ci sono figure di altissimo profilo, come il tenente generale Richard Nugee e l’ammiraglio Neil Morisetti, che oggi insegna sicurezza climatica all’University College di Londra. Le loro tesi, unite a quelle di altri esperti militari, convergono su un punto: il cambiamento climatico non può più essere considerato un problema valutabile sul lungo periodo. È una minaccia attuale, concreta, sistemica. Gareth Redmond-King, responsabile del programma internazionale del think tank Energy and Climate Intelligence Unit, ha dichiarato al The Guardian: “L’energia pulita è la strada per raggiungere lo zero netto: l’unica soluzione che abbiamo per fermare il cambiamento climatico ed evitare impatti sempre peggiori. È l’energia pulita che offre una maggiore sicurezza nazionale, se vogliamo porre fine alla nostra dipendenza da Stati autoritari che controllano la gran parte dei combustibili fossili mondiali. E oltre a ciò dobbiamo considerare il fatto che le guerre legate alle risorse fossili hanno fatto aumentare notevolmente i prezzi dell’energia per le famiglie negli ultimi anni”.
Questa posizione però sembra essere scomoda per la politica, sia di sinistra sia di destra. Proprio nel Regno Unito, da dove arriva questo appello, il governo guidato dal Primo Ministro Sir Keir Starmer, leader del Partito Laburista, ha bloccato la pubblicazione di un rapporto dell’intelligence che evidenziava i rischi per il Paese legati al collasso degli ecosistemi globali. Una scelta contraddittoria, che rischia di indebolire la capacità di risposta e la credibilità strategica del governo stesso. Nel settembre 2025, infatti, con la pubblicazione da parte del Ministero della Difesa britannico del documento “Defence industrial strategy. Making Defence an Engine for Growth” ha citato più volte le fonti rinnovabili come elemento essenziale per sostenere le esigenze operative della difesa e incrementare la resilienza delle infrastrutture critiche, arrivando ad affermare che il Ministero della Difesa britannico sta valutando la generazione privata di energia sulle proprie proprietà, esplorando il contributo potenziale di progetti energetici come gli SMR nucleari e gli impianti rinnovabili, per ridurre i costi e aumentare la sicurezza energetica. Non solo: sarà creato il Defence Energy and Capability Resilience Centre of Excellence (DECX) per unire la difesa, l’industria e la ricerca con l’obiettivo di trarre vantaggio da tecnologie innovative, tra cui le rinnovabili e l’economia circolare, sia per l’operatività sia per la sicurezza nazionale. Inoltre, il documento spiega come la spinta all’innovazione nella difesa comprenda anche la collaborazione e lo sviluppo di tecnologie dual-use (civili/militari) e clean tech, riconoscendo il contributo diretto della difesa agli obiettivi della missione nazionale per la Clean Energy. Con ogni probabilità il Governo britannico ha voluto tenere in sordina un cambiamento che è già nei fatti e nelle decisioni dei vertici militari, ma che potrebbero disorientare l’opinione pubblica.
Nel nostro paese la politica, di tutte le parti, su ciò tace, anche se i vantaggi di questa spesa sarebbero evidenti. “Per l’Italia l’ordine di grandezza è chiaro. Si tratta di un investimento annuo che si colloca a circa 33 miliardi di euro. Un programma di questa scala metterebbe in moto filiere nazionali in progettazione, cantieristica, componentistica, gestione e manutenzione, con effetti sul Pil e sull’occupazione qualificata – afferma Attilio Piattelli, presidente del Coordinamento FREE – Migliorerebbe la bilancia commerciale per la riduzione degli acquisti di combustibili fossili, stabilizzerebbe i costi dell’elettricità per l’industria e aprirebbe a rilocalizzazioni produttive energivore che cercano forniture stabili e a costo marginale basso. La destinazione della quota di resilienza a rinnovabili, accumuli, reti e digitalizzazione, efficienza negli usi pubblici critici, gestione della domanda e calore pulito aiuterebbe a costruire il fulcro di un sistema energetico altamente affidabile e resiliente”.
L’integrazione della spesa climatica nei bilanci per la difesa non sarebbe quindi una diluizione delle priorità, ma una loro logica evoluzione, visto che il concetto di “sicurezza” nel 21° secolo non può essere affrontato con le logiche del secolo scorso. Si dovrebbe spiegare alla politica che la difesa del clima è la nuova frontiera della sicurezza nazionale e che è necessario adottare anche da questo punto di vista un cambio di paradigma, adeguando concetti appartenenti in gran parte alla destra – e che la sinistra preferisce non affrontare – come quelli di sicurezza, sovranità, gerarchia, ordine e anche di nazione. Ma con ogni probabilità stiamo chiedendo troppo a una politica che difficilmente tara la propria visione oltre l’orizzonte di fine legislatura.
Articolo apparso su Nextville.it, 3 novembre 2025
Immagine: Jason Leung (Unsplash)



