Contro il logorio della vita moderna, e altro
Intellectual fatigue è il neologismo proposto in un articolo scritto a conclusione del Salone del Libro di Torino. Ero rimasto al metal fatigue che colpisce alcune leghe metalliche con cui venivano realizzate le automobiline. Miei limiti culturali. E infatti il Salone del Libro 2025 non l’ho vissuto nemmeno da visitatore. Non so quindi se davvero (e da parte di chi) ciò che si è provato è la sensazione che “non ci creda più nessuno”, che si sia persa la convinzione che scrivere e leggere possa davvero cambiare qualcosa e che chi ascolta, tanto quanto chi parla, è semplicemente esausto e disilluso. C’è da dire che le fiere, gli eventi in generale, spesso fanno questo effetto, producono una stanchezza che a volte si traduce in una sorta di “delusione a bassa intensità”, soprattutto in chi è maggiormente coinvolto. Ma l’analisi proposta in quell’articolo dice qualcosa di più forte, ovvero che questa stanchezza, questa disillusione colpisce “l’intero ecosistema culturale progressista”. E per comprenderne le ragioni credo che basti guardarsi intorno. Dal proprio intorno immediato fino agli scenari – per i pochi che sembrano esserne interessati – più ampi.
La storia per un domani possibile
Innovazioni e cambiamenti sociali che hanno avuto successo. E perché
Roman KrznaricE quindi? Serve continuare a pubblicare, a impegnarsi nell’organizzare presentazioni ed eventi in cui far girare le idee proposte nei libri, a inseguire i media (quelli tradizionali e quelli nuovi che spuntano ogni giorno) perché ne parlino, a inventarsi modi per fare sì che l’ecosistema regga da tutti i punti di vista, da quello culturale a quello economico?
La mia personale risposta è nel fatto che sto scrivendo queste righe e in alcune considerazioni sparse. A volte (spesso?) è vero che il parlare e l’ascoltare assumono l’aspetto di un rituale, un rituale vuoto, stanco. Ma “a volte”, e anche “spesso”, non sono sinonimi di “sempre”. La seconda considerazione è che non ce lo possiamo proprio permettere, specie quando si sta affermando l’ecosistema del peggio, mentre scivoliamo allegramente (o stancamente) verso gli anni Trenta del secolo scorso. Terza considerazione, la più ovvia: spesso (non sempre) è proprio nei libri – e in tutte le “cose” che attorno a essi succedono – che si trova il rimedio alla disillusione e anche all’idea che in fondo continuiamo a dire e ascoltare, inutilmente, le stesse cose. Quelle che ci parlano di cambiamenti possibili ma che non avvengono mai. Come se tutto iniziasse e finisse dentro al Salone del Libro.
Ma dato che ho il forte dubbio che quella sensazione di sconfitta colpisca più gli addetti ai lavori che i lettori, penso che non ci sia un momento più indicato per uscire con la nostra prossima novità, La storia per un domani possibile, di Roman Krznaric, con un sottotitolo ancora più chiaro: Innovazioni e cambiamenti sociali che hanno avuto successo. E perché. Scrive l’autore: “La storia è una consulente, non una chiaroveggente. Ci incoraggia a porci nuove domande e a riconoscere che potrebbero essere percorribili altre strade”. Sembra che ce ne sia bisogno.
P.s. Se non sono andato a Torino sarà perché soffro anch’io di intellectual fatigue?
Immagine: Joel Lee (Unsplash)