PuntoSostenibile

Turismo sì, ma differente

Intervista a Cristina Nadotti

di Paola Fraschini
pubblicato il 19/04/2025

Il 2024 si è chiuso in Italia con 458,4 milioni di presenze turistiche negli esercizi ricettivi: secondo i dati Istat il nostro Paese è al secondo posto nella classifica dei partner europei in termini di presenze totali, superando la Francia (450,1 milioni di presenze) e dietro solo alla Spagna (501,1 milioni di presenze).

Si direbbe una vera e propria corsa sfrenata, quella del turismo. Ma siamo sicuri che convenga davvero puntare su questo settore come traino della nostra economia? Firenze inquina il doppio, Venezia scoppia di turisti. E poi ci si mette anche il clima impazzito. Chissà se basteranno i ticket di ingresso e le città prenotabili… Finiremo per applicare anche da noi l’idea anti-folla del magnate di Netflix Reed Hastings per poter finalmente trovare un po’ di pace sulle piste da sci: creare un’enclave privata con accesso riservato solo ai proprietari che si possono permettere la spesa per un mega resort esclusivo con annessi impianti di risalita, piste e ristoranti (siamo a Powder Mountain nello Utah)

L’industria dei viaggi e delle vacanze ha bisogno di cambiare rapidamente perché un turismo a impatto zero non esiste, e un mondo senza turismo non è né possibile né auspicabile. Parliamone con Cristina Nadotti, autrice dell’ultima inchiesta VerdeNero Il turismo che non paga che ci fornisce una preziosa cassetta degli attrezzi per affrontare la questione.

Tante volte abbiamo sentito dire che in Italia le imprese turistiche sono il traino per lo sviluppo economico e creano posti di lavoro, ma è davvero così? 

Le imprese turistiche sono una parte della nostra economia, al pari di tante altre. Parlare di traino, a quanto mi raccontano gli esperti di economia del turismo che ho intervistato per la mia inchiesta, è però sbagliato. Infatti, se si calcola il Pil che proviene dal turismo in modo corretto, il suo valore non è maggiore rispetto a quello generato da altre attività economiche. Inoltre, e questo è l’aspetto più importante, se si punta tutto soltanto sul turismo, alla lunga non ci sarà sviluppo economico sostenibile sia in termini sociali, sia in termini ambientali. Insomma, puntare su una monocoltura non è mai redditizio.

Cosa accade dietro le quinte quando una città diventa “città d’arte”, un paese “borgo autentico” e una spiaggia “località instagrammabile”? 

Più che un “dietro le quinte” è un processo di trasformazione profonda e palese che riguarda il tessuto sociale, gli spazi urbani e, nel caso di spiagge e montagne, l’ambiente naturale. Il turismo, per sua natura, cambia i territori per adattarli all’industria delle vacanze, estrae risorse e le sue attività economiche producono esternalità negative che molto di rado vengono prese in considerazione quando si parla di sviluppare nuove imprese turistiche. Insomma, il fenomeno del sovraffollamento, o overtourism, è soltanto la conseguenza negativa più evidente di un’industria turistica senza programmazione e senza regole.

Cosa si intende con overtourism? Il problema secondo te è più di tipo quantitativo o più qualitativo? 

Come ho appena accennato, il termine overtourism finisce per essere una semplificazione di un fenomeno molto complesso. Soltanto negli ultimi anni i disagi provocati dall’arrivo di migliaia di turisti, tutti insieme, tutti nello stesso posto e nello stesso periodo sono diventati argomento per i media. In realtà, studiosi ed esperti del settore turistico mettevano in guardia sui danni del sovraffollamento già all’inizio degli anni Ottanta. Come accaduto per la crisi climatica, non si sono voluti vedere i segnali. Adesso vuoi appunto per il cambiamento climatico che renderà alcune località più appetibili, vuoi perché la popolazione del Pianeta aumenta e sempre più persone vogliono viaggiare, non si può continuare a fare finta di niente. Il problema è quantitativo e qualitativo: dobbiamo valutare la capacità di carico turistico di alcune località e dobbiamo pianificare le attività turistiche in modo diverso.

In tanti ormai per scegliere la meta dei loro viaggi cercano luoghi non ancora inflazionati e non gettonati, magari fuori stagione… Secondo te anche l’undertourism finirà col diventare una tendenza e per essere davvero sostenibili toccherà stare a casa e rinunciare all’esperienza? 

Credo che alcune mete che adesso sono molto ambite perderanno la loro capacità di attrazione proprio perché troppo affollate, o perché saranno talmente modificate per soddisfare le esigenze dei turisti che avranno ben poco del loro aspetto originario. Ribadisco, poi, che il turismo deve riflettere sugli effetti della crisi climatica, perché la valutazione degli eventi meteo estremi, come ondate di calore e piogge torrenziali, sta già orientando le scelte dei turisti. Un turismo a impatto zero per l’ambiente non esiste, ma questo non significa dover rinunciare a viaggiare. Si tratta soltanto di decidere come e a quale scopo.

Ci sono esempi virtuosi da citare o strumenti utili?

Moltissimi, ed è proprio la voglia di raccontare come si può fare turismo in maniera diversa che mi ha spinto a scrivere questo libro. Intanto, mi ha colpito la mole di studi accademici sull’argomento, una ricchezza di dati e valutazioni indispensabile per fare programmazione turistica. Purtroppo, come mi ha detto uno tra gli esperti che ho sentito, in Italia è ancora radicata l’idea che per avviare un’impresa turistica sia sufficiente avere un bel tratto di spiaggia da sfruttare ed essere simpatici.  Quanto agli esempi virtuosi, nel libro do voce ad associazioni, cittadini, piccoli imprenditori, comuni che si impegnano per pianificare le attività turistiche in modo che siano sostenibili economicamente, socialmente e dal punto di vista ambientale.

Da dove viene la spinta a scrivere questo libro?

Ho sempre viaggiato molto e considero la Sardegna, dove ho vissuto per 30 anni, la mia patria di adozione. Vedere la mia isola, e centinaia di posti nel mondo, votati alla mercificazione di un turismo di rapina mi ha fatto riflettere su quale turista avrei voluto essere io per prima. Il punto è che, come molti, sono contemporaneamente la residente che si sente privata dei suoi diritti e dei suoi spazi dal bagnante che arriva sulla mia spiaggia preferita e la turista che percepisce l’ostilità del residente. Ho pensato, però, che quando si parla di turismo si tende a dare voce principalmente agli imprenditori del settore e ai turisti, per questo l’intenzione è stata di puntare i riflettori sulle comunità ospitanti e sui danni irreversibili che stiamo facendo all’ambiente.


Immagine: credits Luca Ragazzi