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Forze di riproduzione

Intervista a Stefania Barca

di Paola Fraschini
pubblicato il 23/10/2024

Questo è un libro che spaccaStefania Barca ha scritto un manifesto di ecologia politica che critica le narrazioni dominanti sull'Antropocene, offrendo un approccio radicale e femminista per affrontare la crisi ecologica. Una visione che mette insieme in un'unica lotta disparità di genere, ingiustizie sociali e crisi ambientale. Barca non si limita a criticare il sistema attuale, offre anche un’alternativa: un nuovo paradigma che mette al centro l’interconnessione tra esseri umani e natura, proponendo una visione radicale e inclusiva. Doveva essere pubblicato anche in Italia (titolo originale Forces of Reproduction edito da Cambridge University Press), e noi lo abbiamo fatto.

Forze di riproduzione

Per una ecologia politica femminista
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Forze di riproduzione avrebbe dovuto essere pubblicato evitando l’uso del cosiddetto “maschile universale”. Trattandosi di un volume “nativo” in lingua inglese, nella sua versione originale il problema non si è posto ma affrontando la traduzione in italiano sì. L'editore ha optato per non utilizzare lo schwa. È così importante per te l'aspetto formale del linguaggio per veicolare il contenuto?

Il linguaggio è importantissimo, certo: è il modo in cui pensiamo il mondo e il nostro posto in esso. L’uso indiscriminato e irriflessivo del maschile universale riproduce e naturalizza le gerarchie di genere e soprattutto l’idea che il mondo sia fatto a immagine e somiglianza del genere maschile. Detto ciò, capisco perfettamente e rispetto la scelta dell’editore: il problema delle lingue latine è strutturale, e non si risolve con un libro scritto diversamente. Però qualcosa si può fare: per esempio, usare sinonimi neutri ogni volta che sia possibile – cittadinanza invece di cittadini, umanità invece di uomini ecc. – è già un enorme passo avanti. Questo è ciò che abbiamo fatto con l’editing della traduzione italiana, e il risultato è che il maschile universale alla fine ha una presenza minima. In Spagna, dove vivo e lavoro oggi, i documenti ufficiali utilizzano il termine “persone”, da solo o con una qualificazione (per esempio, le persone candidate, piuttosto che i candidati). Mi sembra una bella forma di rispetto verso le identità e le esperienze di tutt…e le persone.

Perché definisci la crescita come una narrazione violenta? Ci sono delle storie da salvare? 


Quella della crescita economica è una delle più potenti mistificazioni narrative della cultura occidentale contemporanea. Non perché il prodotto interno lordo globale non sia cresciuto esponenzialmente negli ultimi decenni, ma perché questo fenomeno viene rappresentato in un modo quasi religioso, mistico, che nasconde i suoi enormi costi sociali e ambientali. Le storie riportate nel libro vengono da quella umanità che ha sofferto e pagato il prezzo della crescita economica, e che continua a lottare per frenarne il meccanismo divoratore.


Tu dici che serve una rivoluzione ecologica, puoi spiegarci che cosa intendi con essa? 


Per rivoluzione ecologica, un termine che riprendo dalla studiosa statunitense Carolyn Merchant, intendo un cambiamento a 360 gradi delle tre sfere che regolano la relazione tra umanità e pianeta: produzioneriproduzione e cultura. Abbiamo bisogno di modi di produzione non orientati al profitto ma alla soddisfazione dei bisogni; di modi di riproduzione che non ubbidiscano alle esigenze del capitale o dello stato ma alla auto-determinazione delle donne; e di culture della uguaglianza e della cura, piuttosto che della competizione e del privilegio. 


Chi incarna le forze di riproduzione?


Le forze di riproduzione non vanno intese come una astrazione generalizzante del genere femminile, né tantomeno della classe contadina o dei popoli indigeni in quanto tali, bensì come un concetto politico, che indica le forze organizzate – movimenti sociali, reti, sindacati ecc. – per la difesa e cura del vivente. Tra gli esempi storici portati nel libro, il più significativo è quello della Alleanza dei Popoli della Foresta, che si formò in difesa dell’Amazzonia negli anni ’80 del secolo scorso, e che da allora lotta per mantenere la foresta in piedi e per affermare la cultura del comune contro quella del possesso individuale. Dobbiamo soprattutto a loro se il polmone del pianeta ha continuato a respirare per tutti questi anni. 

Immagine: Mikael Wallerstedt