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Perché preoccuparsi se un libro diventa un long seller?

di Marco Moro
pubblicato il 23/01/2024

Nel poscritto all’edizione aggiornata in lingua inglese di Mercanti di dubbi Naomi Oreskes ed Erik Conway scrivevano “siamo felici di vedere questa nuova edizione, ma siamo sconfortati dal fatto che il libro risulti ancora così attuale”. La nuova edizione di cui si parla – che aggiornava in alcuni apparati l’originale edizione di Bloomsbury del 2010 – è del 2019. Oggi, a cinque anni di distanza, probabilmente la preoccupazione dei due autori non è cambiata di molto, di fronte a uno scenario in cui segnali positivi, come una mobilitazione sul clima che proprio nel 2019 stava prendendo quota, contrastano con fenomeni di segno totalmente opposto. 

Mercanti di dubbi

Come un manipolo di scienziati ha nascosto la verità, dal fumo al riscaldamento globale
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In particolare, ciò che si metteva in evidenza nel libro – ovvero le strategie con cui si era cercato di nascondere fatti di enorme rilevanza per la società, o quantomeno di instillare il dubbio su evidenze che dal punto di vista scientifico avevano raggiunto quel livello di consenso necessario a far loro conquistare lo status di conoscenze acquisite – non è solo tuttora in atto (per tutti valgano le dichiarazioni di Sultan Al Jaber in qualità di Presidente della COP28), ma ha trovato ulteriore spazio, nuovi strumenti, nuovi attori.


Se torniamo “dentro” il libro, nella prefazione Al Gore scriveva: “Oggi Merchants of Doubt si legge come una sorta di prequel dell’attuale crisi di fiducia negli esperti e verso informazioni basate su dati empirici, un segnale anticipatore del costante ricorso del nostro attuale Presidente (era Trump, oggi tutt’altro che uscito di scena, nda) a fake news e ‘fatti alternativi’. La storia di Merchants of Doubt non è solo la storia di come si è minata la fiducia collettiva nella scienza, che sarebbe già un male sufficiente. È la storia di come si è minata la fiducia delle persone nell’informazione, nei fatti, e con questo è la storia di come si sono svuotate politica e democrazia per come le conosciamo”. Proprio dopo il 2019 abbiamo potuto verificare quanto esatta fosse questa visione, con l’assalto al Campidoglio a Washington nel 2021 e ancora prima, in casa nostra, durante la pandemia COVID-19.

 

In questo inizio d’anno non c’è quindi nulla di casuale nel fatto che tra i nostri autori siano in evidenza proprio Naomi Oreskes e James Hansen, che peraltro è un protagonista anche delle vicende narrate in Mercanti. L’autore di Tempeste e primo climatologo a denunciare il legame tra attività umane e aumento delle temperature medie globali è tornato a farsi sentire dichiarando senza mezzi termini che l’obiettivo dell’accordo di Parigi del 2015 ce lo possiamo scordare. Nel mondo a +1,5 °C ci siamo già dentro. Pochi media italiani ne hanno parlato e alcuni si sono subito premurati di sottolineare che altri climatologi sono più cauti nelle valutazioni. Tra chi si è detto non convinto della giustezza delle valutazioni di Hansen c’è un altro climatologo di pari autorevolezza e, guarda caso, anch’egli nostro autore: Michael Mann. E fin qui è dibattito scientifico, ma l’oggetto cui guardare è soprattutto quel “pochi” riferito ai media, almeno i nostri. Infatti una parola di “affetto” Oreskes e Conway la riservano ai mass-media che qualificano come complici dell’inganno ai danni del pubblico in quanto consapevoli amplificatori della percezione che esista sui cambiamenti climatici una fondamentale controversia di carattere scientifico, mentre ciò a cui stiamo realmente assistendo è una messa in discussione per ragioni esclusivamente politiche.

 

Che dire quindi della platea di giornalisti sordi, muti e ciechi che ha assistito alla conferenza stampa di fine anno della nostra premier? Che Meloni non facesse intenzionalmente alcun cenno all’emergenza climatica ce lo si poteva aspettare, ma che nessuno alzasse la manina per fare una domanda alla fine dell’ennesimo “anno più caldo di sempre”… Vedi sopra.

 

Immagine: Towfiqu barbhuiya  (Unsplash)